sabato 20 dicembre 2008

cambia il punto di vista

I primi 5 libri di HP sono raccontati dal punto di vista interno: tutto è visto con gli occhi di Harry.

Nel 6° il punto di vista comincia a cambiare. Il lettore ha bisogno di sapere che Piton formula il voto infrangibile. Ma non c'è verso che Harry lo sappia, o almeno che lo sappia nel momento in cui l'episodio viene raccontato. Di conseguenza, la narrazione deve abbandonare momentaneamente il punto di vista di Harry.

Ciò non vuole dire che la narrazione diventi non focalizzata, ossia che il narratore diventi onnisciente. Anzi, sembra quasi che sappia ancor meno. Quando assistiamo all'incontro tra Piton e le due sorelle Bellatrix e Narcissa, è come se fossimo muti spettatori della scena. Vediamo che cosa succede, sentiamo che cosa dicono, ma non veniamo informati dei pensieri dei personaggi. In altre parole, la Rowling adotta il punto di vista esterno.

Non vediamo le cose dal punto di vista di Piton, ma dal di fuori. Se così non fosse, non potremmo giudicare Piton: non si può giudicare un personaggio mentre si è dentro di lui. E invece Piton lo giudichiamo eccome, e tendenzialmente lo giudichiamo male.

In queste pagine ho sostenuto la bontà di Piton prima che uscisse HP 7°. Non occorre perciò che insiste a spiegare che il giudizio su Piton è un giudizio sbagliato. Ma il punto è: com'è possibile che ci siamo sbagliati tanto? La risposta potrebbe essere questa: guardiamo Piton dall'esterno, consideriamo le sue azioni senza conoscere le sue intenzioni. Se la narrazione adottasse il punto di vista di Piton, ciò non sarebbe possibile.

Naturalmente, si tratta di una condizione necessaria, ma non sufficiente. La focalizzazione esterna non basta a spiegare perché giudichiamo male Piton. Per farlo, è necessario che si aggiunga il pregiudizio negativo, che abbiamo maturato attraverso gli anni, guardando Piton con gli occhi di Harry.

giovedì 11 dicembre 2008

identificazione

La Rowling, almeno in HP 1-5, adotta coerentemente il punto di vista interno di Harry.

In questo modo il lettore si abitua a vedere il mondo dal punto di vista di Harry. A meno che Harry gli sia proprio antipatico (ma allora non arriva oltre il primo volume), finisce con l'identificarsi con lui, più o meno consapevolmente.

L'identificazione con il personaggio non comporta necessariamente che si approvi tutto quello che fa. Piuttosto, costringe a sospendere il giudizio. Nessuno può giudicare se stesso. Il lettore, identificato con Harry, non può giudicare Harry. Il lettore non sta continuamente a chiedersi se Harry è buono o cattivo: semplicemente, sta dalla sua parte. Non vuole che Harry si salvi perché è bravo e buono, vuole che si salvi e basta. L'istinto di conservazione di Harry viene fatto proprio dal lettore.

Se, prima della fine, il lettore deve esprimere un giudizio su Harry, occorrerà che, almeno per un momento, si distacchi dal suo punto di vista.

Quando accade ciò?

sabato 29 novembre 2008

il punto di vista di Harry

Nel post precedente ho cercato di illustrare come un racconto posse essere scritto da diversi punti di vista. Lasciavo in sospeso la questione del punto di vista adottato in Harry Potter.

Il primo volume comincia con un breve racconto: Silente lascia il piccolo Harry sulla soglia della casa degli zii. Il racconto è breve: si esaurisce in un capitolo, finito il quale ritroviamo Harry ormai cresciuto. Sono trascorsi molti anni. Si può ben dire che il primo capitolo serve da antefatto.

L'antefatto ha una caratteristica peculiare: Harry è troppo piccolo per capire che cosa succede. Impossibile perciò raccontare alcunché dal punto di vista di Harry. Che punto di vista viene lì adottato? Lascio la domanda in sospeso.

Dal secondo capitolo in poi, il punto di vista diventa quello di Harry. Si tratta del punto di vista interno: sappiamo tutto quello che Harry sente, vediamo quello che vede, siamo informati di quello che pensa. Non si tratta perciò di punto di vista esterno.

E se ci trovassimo di fronte a un narratore onnisciente? Non sappiamo forse anche quello che pensano gli amici di Harry? Quello che pensa Ron per esempio?

Direi proprio di no. I pensieri di Ron ci sono sconosciuti, a meno che li manifesti all'esterno, confidandosi con Harry; i sentimenti di Ron non ci sono noti direttamente, a meno che traspaiano all'esterno: allora li possiamo leggere sul suo volto, nei suoi gesti, nel tono della sua voce. Il fatto è che Ron è estroverso: raramente si tiene dentro quello che pensa. Semmai parla prima di avere pensato a sufficienza, almeno fino al 4° volume. Ecco perché conosciamo i suoi pensieri: perché Harry li conosce.

Analogo discorso si potrebbe fare per gli altri amici di Harry: sappiamo di loro quello che sa Harry. Perciò sappiamo sempre di meno del loro mondo interiore, man mano che ci allontaniamo da Harry.

Un'eccezione si trova al principio del libro 4°: mi ricordo di averlo notato con sorpresa nel corso della lettura. Veniva raccontato quanto accadeva in una casa di campagna. Si vedevano Codaliscia, Nagini e quel mostriciattolo di Voldemort. Com'era possibile? La Rowling aveva deciso di abbandonare il puno di vista interno di Harry? O addirittura commetteva un errore?

Nulla di ciò. Alla fine del capitolo, Harry si sveglia, e apprendiamo che in sogno stava vedendo quanto accadeva nella casa abbandonata. Ecco perché potevamo vederlo anche noi.

Si apre ora una domanda: che risultato ottiene la Rowling adottando il punto vista interno di Harry?

Vedo che dovrò proseguire ancora un poco i miei post, per rispondere a questa domanda.

sabato 22 novembre 2008

due post sul punto di vista, e chiudiamo

Cari amici,

spero che ci siamo divertiti insieme a cercare di prevedere la fine di Harry Potter, un anno fa. Tutto il blog era stato impostato su questo. Dopo rimaneva solo un po' di bilancio da fare. Fatto quello, avrei dovuto chiudere. Mi dispiaceva un po', e ho rinviato la decisione. Mi dispiace di avere in questo modo creato l'illusione che questo diario potesse proseguire.

Ora scrivo due post sul punto di vista e poi chiudo davvero. Nel penultimo post vorrei parlare in generale del punto di vista, nell'ultimo del punto di vista da cui è raccontato Harry Potter.

1) Non sempre un racconto ha un punto di vista. Alcuni narratori preferiscono raccontare come se fossero onniscienti. Ne hanno il diritto: in fin dei conti, stanno creando un mondo. Sono gli autori che ti dicono che cosa accade in luoghi molto lontani dall'azione principale, che ti dicono che cosa pensano dentro di sé i diversi personaggi.

In questo modo si scrive: «il lupo mannaro si avvicinò alla porta della stanza dei ragazzi. I ragazzi videro la maniglia che si abbassava, ma mai avrebbero immaginato che cosa stava per entrare».

2.1) La prospettiva del narratore onnisciente non è l'unica possibile. Stevenson e Dickens amavano scrivere racconti in prima persona. La voce narrante era quella di uno dei personaggi in scena, e il punto di vista si restringeva. Il narratore non poteva più sapere che cosa pensavano personaggi diversi da quello di cui avevo adottato la prospettiva: sembrerebbe incongruo al lettore. Il narratore parlava dal punto di vista del suo personaggio.

Si scrive allora: «Ero con mio fratello nella nostra stanza. Sentii un rumore fuori dalla porta, e dissi: Papà, sei tu? Nessuna risposta. Invece la maniglia cominciò ad abbassarsi».

Se proprio non ce la faceva più e voleva dire qualcosa che il suo personaggio non poteva sapere, il narratore ricorreva al senno di poi: cioè a quelle conoscenze che il personaggio focale aveva acquistato dopo la fine della storia raccontata. Si trattava allora di una trasgressione del punto di vista.

Potrebbe aggiungere: «Se avessi saputo che cosa stava per accadere, avrei afferrato mio fratello e sarei fuggito dalla finestra».

2.2) Nel xix secolo, Henry James teorizza la superiorità del racconto condotto dal punto di vista interno. Ma, con genialità, distingue il punto di vista interno dal racconto in prima persona. Si può benissimo raccontare dal punto di vista interno a un personaggio e scrivere in terza persona.

Si scrive allora: «Riccardo era sveglio, il fratellino invece dormiva. Riccardo sentì uno strano rumore fuori dalla porta ed ebbe paura. "Papà, sei tu?" Nessuna risposta. Invece la maniglia cominciò ad abbassarsi. La paura crebbe in terrore. Riccardo scosse, il fratellino, che si svegliò di colpo e gridò».

Si noti che il narratore sa che cosa pensa Riccardo. Conosce i suoi sentimenti e le loro gradazioni: dalla paura al terrore. Se anche che a Riccardo il rumore fuori dalla porta sembra strano.

Il narratore non conosce invece i sentimenti del fratellino, perché non li conosce neppure Riccardo. Può però congetturarli, a partire dalle azioni del fratellino e dai mutamenti esterni che i sentimenti inducono. Il grido del fratellino è un gesto che è facile interpretare come una paura improvvisa.

3) A partire da Hemingway, viene usato sempre più spesso un terzo punto di vista: quello esterno, diverso sia dal punto di vista interno sia da quello del narratore onnisciente. In questo caso il narratore ha il minimo di conoscenza: non ha accesso ai pensieri di nessun personaggio, a meno che questi non li manifesti con parole o azioni. Non ne conosce i sentimenti, se non quando emergono al di fuori, alterando il comportamento e le fattezze dei personaggi. Il narratore deve aguzzare l'ingegno per rilevare le espressioni dei personaggi, e deve farli parlare. Ha bisogno di cogliere i dettagli.

Si scriverebbe allora: «Riccardo era sveglio, il fratello piccolo invece dormiva. Un rumore proveniva dall'esterno. Riccardo sbarrò gli occhi e domandò a bassa voce: "Papà, sei tu?" Nessuna risposta. Invece la maniglia cominciò ad abbassarsi. Riccardo si voltò verso Luigi e lo scosse. Luigi si svegliò di colpo e gridò».

Ho dovuto togliere ogni riferimento ai pensieri e ai sentimenti di Riccardo. «Sbarrò gli occhi» è un gesto che rivela la paura di Riccardo. Non parlo più di «fratellino», perché ha una connotazione affettiva che andava bene nella percezione di Riccardo, ma non in quella del narratore esterno. L'ho chiamato Luigi, adottando il nome di battesimo.

Infine: il narratore può passare dall'uno all'altro dei tre punti di vista, a seconda del bisogno, oppure può adottare un punto di vista e attenersi ad esso dal principio alla fine.

Il cambiamento di punto di vista non è necessariamente un errore: a volte è una necessità. Il narratore usa l'una o l'altra risorsa, a seconda dell'effetto che vuole ottenere. Si può invece considerare un errore la commistione dei punti di vista. Se nella seconda o nella terza versione avessi detto che Riccardo sente il rumore del lupo mannaro, avrei fatto un errore. Se nel terzo racconto avessi parlato del «fratellino», o di «Gigi», che è il diminutivo usato da Riccardo, avrei fatto un errore.

Ora, la domanda è: da quale punto di vista è raccontato Harry Potter?

mercoledì 30 luglio 2008

chiusura estiva

Dopo i post dell'ultima decade di luglio, viene il momento di dichiarare una pausa estiva.

Visto che avrò un accesso molto limitato a internet, attiverò la moderazione dei commenti. Questo vuol dire che non vederete subito pubblicati i commenti che vorrete lasciare. Saranno conservati, in attesa di pubblicazione. Non occorre perciò inviare ripetutamente lo stesso commento.

Ai primi di settembre pubblicherò i commenti, con le discussioni che ne potranno nascere.

A metà settembre cesserà la pubblicazione di post programmati. I commenti potranno continuare. Se sorgesse qualche discussione interessante, potrei pubblicare ancora.

Ma gli sforzi principali saranno devoluti al nuovo blog su Tolkien, dove svolgerò una serie di interventi concatenati, al modo di quelli del mese precedente la pubblicazione di HP7. Non così frequenti, perché manca l'urgenza, ma chi sarà interessato troverà un percorso di ricerca sulla trama del Signore degli Anelli. Cercherò di costruirlo sulla base di citazioni precise, da cui cercherò di trarre conclusioni argomentate.

Buona estate!

domenica 27 luglio 2008

apologia pro HP

Penso che sia interessante portare in primo piano una discussione che si è svolta nei commenti.

Un lettore ha citato un articolo di Edoardo Rialti che esprimeva una ferma condanna morale di Harry Potter perché conterrebbe un invito alla pratica della stregoneria.

Rialti aveva scritto sull'Osservatore romano, per contrastare un altro articolo pubblicato nella stessa pagina e firmato da Paolo Gulisano. Come racconta Paolo Gulisano, la linea editoriale dell'Osservatore romano consisteva nel parlare di Harry Potter senza dare l'impressione di esprimere una posizione ufficiale. Preoccupazione in cui leggo il rispetto verso le diverse opinioni che i fedeli cattolici hanno in materia. Avevano invitato Paolo Gulisano a scrivere, ma il suo articolo era tanto favorevole a Harry Potter, che per conservare la neutralità il giornale ha dovuto cercare un autore disposto a esprimere la versione opposta. Hanno trovato Rialti.

Rialti ha scritto un articolo che moltiplica le citazioni del Catechismo della Chiesa cattolica per dimostrare che la stregoneria e la superstizione sono ivi condannate. Poi altri mezzi di comunicazione hanno ripreso la notizia, menzionando il solo Rialti. Titolo: l'Osservatore romano condanna Harry Potter. Sarà questo il giudizio del Papa?

La cosa ha del paradossale: Rialti era stato ospitato dall'Osservatore romano proprio per mettere in chiaro che i due saggi esprimevano soltanto l'opinione dei rispettivi autori, e non il giudizio del Papa. I media avrebbero dovuto riferire di entrambi gli articoli: ne sarebbe emerso un libero dibattito fra cattolici, che esprimevano pareri diversi su un libro recente. Il lettore avrebbe potuto valutare quale delle opinioni espresse appariva meglio informata e meglio ragionata.
Invece l'effetto sui media è stato l'opposto. Quella che poteva apparire una discussione illuminata è sembrata una manifestazione di oscurantismo. Ghiotta occasione per chi cercava di mettere il Papa in cattiva luce.

Se Rialti è cattolico, cosa che afferma e di cui non ho ragione di dubitare, la cosa potrebbe farlo riflettere. Non è forse possibile che il tono usato da Rialti contenesse in sé qualcosa di inappropriato? Penso di non essere meno cattolico di Rialti, ma apprezzo Harry Potter come fanno molti altri cristiani, cattolici e non. Preferirei che Rialti avesse evitato di sciorinare citazioni di condanna della stegoneria tratte del Catechismo. Pensava forse che noi dell'esercito di Silente non sapessimo che la fede cristiana è sempre stata contraria alle pratiche magiche? O voleva forse dare l'impressione che fossimo poco coerenti con la nostra fede? Preferisco pensare che Rialti, trovandosi a scrivere sull'Osservatore romano su un argomento che conosceva poco, abbia ritenuto utile documentarsi sul Catechismo. Salviamo perciò la buona fede dell'articolista. E passiamo a un esame della logica dei suoi argomenti.

Ecco il mio appunto: Rialti confonde la maggiore con la minore di un sillogismo. Chiaro? Non tanto. Permettetemi allora di ricordare la forma più celebre del sillogismo:
premessa 1: Socrate è un uomo
premessa 2: gli uomini sono mortali
conclusione: Socrate è mortale.

La premessa 1 è detta premessa minore, perché contiene un giudizio particolare, valido per l'individuo Socrate. La premessa 2 è detta maggiore, perché contiene un giudizio universale, formulato in modo tale da proporlo come valido per tutti gli uomini.

La tesi di Rialti è che Harry Potter promuove fra i suoi lettori le pratiche magiche. La tesi viene provata con argomenti? No! Per farlo, avrebbe dovuto citare passi di Harry Potter. Invece di provare la premessa minore, l'opinionista rivolge i suoi sforzi a dimostrare la premessa maggiore. All'uopo cita il Catechismo, testo che si può presumere ben acceto fra i lettori del giornale in cui scrive.

La confusione fra le due premesse è un errore logico grave, che inficia tutto il ragionamento. Aristotele avrebbe detto che lo trasforma in sofisma. Per nascondere la debolezze della premessa minore, si apre una discussione sulla premessa maggiore. Sventurato chi lo segue su quel piano.

All'errore di Rialti è correlativo l'errore di quanti fra i suoi critici hanno impugnato la premessa maggiore, difendendo la pratica della magia, oppure contestando il diritto della Chiesa a pronunciarsi in merito. In questo modo si sono messi sullo stesso piano di Rialti, accettando di spostare la discussione sulla moralità della magia. Ma così la discussione può diventare infinita. Che è quello che succede se si confondono premessa maggiore e premessa minore: le discussioni diventano interminabili e prive di costrutto.

venerdì 25 luglio 2008

King's Cross e la creatura ributtante

Lo scorso gennaio ci eravamo intrattenuti sulla creatura ributtante che Harry vede a King's Cross. Sono state avanzate diverse proposte di identificazione. Vorrei ora proporvi la mia.

Mi sembra necessario partire dalla presenza di Harry a King's Cross. Evidentemente, si tratta di un luogo fuori dal mondo in cui vivono Ron, Hermione e gli altri amici. In quel luogo Harry può vedere Silente, che è indubbiamente morto, e parlare con lui. La figura visibile di Silente non può essere il suo corpo, che giace cadavere nella tomba bianca. Si tratta piuttosto di una manifestazione dell'essere personale di Silente, che si esprime attraverso un'immagine della sua antica figura fisica.

Harry, dal canto suo, non è morto. Nel dialogo con Silente, quest'ultimo finisce col dirlo chiaramente, aggiungendo che su questo Harry sarà pronto a convenire. Il corpo di Harry si trova ancora nella foresta proibita, dove è stato appena colpito dall'avada kedavra di Voldemort. Anche l'immagine (visibile, ma anche palpabile) di sé che Harry vede a King's Cross non è dunque il suo corpo, ma una manifestazione dell'essere personale di Harry.

A questo punto nulla impedisce che la creatura ributtante, simile a un feto deturpato, che Harry vede a King's Cross, sia la manifestazione dell'essere personale di Voldemort, il cui corpo giace momentaneamente privo di sensi nella foresta proibita.

Perciò non vi vedrei il frammento dell'anima di Voldemort che era finito nella cicatrice di Harry, e neppure uno dei frammenti che erano stati o erano ancora imprigionati nelle altre horcruces. Può essere benissimo quella parte di anima, orrendamente mutilata dagli omicidi commessi, che risiede ancora nel corpo di Voldemort.

Come Harry vede se stesso e il nuovo viaggio che potrebbe intraprendere se morisse, così vede Voldemort e il vicolo cieco in cui si è volontariamente infilato, vicolo cieco da cui non potrebbe più uscire, se prima di morire non provasse un qualche rimorse.

La stazione di King's Cross appare come una specie di luogo virtuale, in cui la diversa condizione morale di Harry e di Silente da una parte e di Voldemort dall'altra viene espressa in modo visibile, con il ricorso a immagini. Sembra che i miti si scrivano ancora, e si leggano volentieri, quando sono scritti bene.

lunedì 21 luglio 2008

Kreacher, un anno dopo

Nel giugno di 2007 avevo scritto un post riguardo a Kreacher: la fine di Harry Potter: Kreacher!

HP6 si chiudeva sul mistero di RAB. Poco tempo dopo, Wikipedia pubblicava un articolo che riconosceva in RAB Regulus Black, e il medaglione-Horcrux nel pesante medaglione ritrovato a casa Black, quel medaglione che nessuno riusciva ad aprire. Regulus lo aveva portato lì. Avevo chiarito che in italiano c'era un errore di traduzione: “locket” era tradotto lucchetto, il che rendeva l'indizio illeggibile per il lettore italiano.

Ovviamente, il medaglione era stato portato lì da Regulus. Ma come aveva fatto Regulus a superare le protezioni che impedivano l’accesso alla grotta?

Un anno fa mi sembrava che Kreacher fosse l’unico che poteva avere accompagnato Regulus nella grotta. Proprio come il minorenne Harry, un elfo domestico non sarebbe contato come una mago adulto nell’attraversamento del lago sulla barca. In tal modo, non sarebbe scattata la protezione che impediva di attraversare il lago in due. Supponevo che Kreacher avrebbe anche potuto bere la pozione su comando di Regulus.

Ne avevamo poi discusso accuratamente. Il capitolo “Kreacher’s Tale” in HP7 non è perciò giunto per noi come una sorpresa. Effettivamente, Kreacher è andato nella grotta con Regulus per aiutarlo a prendere il medaglione.

Ci sono anche alcune cose che non avevamo previsto.

La prima è che Kreacher era già stato nella grotta con Voldemort. La ragione è indicata come segue: “This, then, was how Voldemort had tested the defences surrounding the Horcrux: by borrowing a disposable creature, a house-elf” (HP7, p. 160 ed. Bloomsbury).

La ragione in parte ci scusa del non avere scoperto che Kreacher era già stato nella grotta con Voldemort: si trattava di un test, di un controllo. Non essendo il controllo assolutamente necessario a Voldemort, non lo si poteva prevedere.

Ciò non vuol dire che, nella trama di HP7, il primo viaggio di Kreacher sia senza scopo. Ai fini della trama, il fatto che Voldemort si faccia dare Kreacher da Regulus spiega come Regulus è venuto a conoscere la localizzazione della Horcrux. E spiega anche come ha potuto pensare di portare fuori il medaglione: avendo saputo da Kreacher come Kreacher era tornato, ha pensato che l’impresa si potesse ripetere.

E qui, come al solito, la Rowling ha migliorato rispetto alle nostre previsioni. Anziché sacrificare Kreacher, come avevo supposto, Regulus ha voluto fin dall’inizio sacrificare se stesso: sapeva che Kreacher sarebbe stato capace di smaterializzarsi fuori dalla grotta, mentre lo stesso Regulus vi sarebbe rimasto prigioniero.

In questo modo la figura di Regulus ne esce meglio, e si spiega l’attaccamento di Kreacher verso di lui, che sarebbe stato meno chiaramente motivato se Regulus l’avesse costretto a bere la pozione.

Mi sembra però che in questo modo si apra una falla: non mi spiego come Regulus riesca a bere la pozione che Silente non riesce a bere da solo. Silente ha bisogno che Harry lo costringa a proseguire nella bevuta. Regulus ce la fa da solo.

domenica 20 luglio 2008

rieccoci qui

Interrompo l’attesa di nuovi messaggi. Mi astengo dal dare gli estremi del libro che mi ha impegnato a fondo per diversi mesi e che dovrebbe uscire in ottobre, perché per farlo dovrei svelare la mia identità, e tenerla nascosta era parte del gioco. Vediamo di riannodare le fila della discussione.

Ora che la saga è conclusa, si possono esprimere valutazioni complessive sui sette libri di Harry Potter, senza temere che vengano smentite dal volume successivo.

La nostra analisi, volta com'era a indovinare le conseguenze di quanto era già stato raccontato, si è incentrata sulla trama.

Lo snodo più difficile da prevedere era quello concernente la morte di Harry. In qualche modo, bisognava che morisse e che non morisse: che morisse per distruggere la horcrux che racchiudeva nella cicatrice, e che non morisse per potere uccidere Voldemort.

Non ho potuto indovinare entrambe le cose. Fra le due avevo escluso la prima, in quanto preferivo la seconda: mi sembrava necessario che fosse Harry a uccidere Voldemort.

Ora possiamo dire che la Rowling si “inventa” una morte-non-morte. Harry sperimenta cioè il morire, offrendosi inerme all'avada kedavra. Ma non può morire davvero, grazie alla protezione che il sacrificio di Lily gli offre ancora. Devo dire che non pensavo che la stessa risorsa, già usata ampiamente nel primo volume, potesse essere usata ancora nel settimo.

Il bello è che così viene sottolineata l'importanza del significato che diamo alle azioni. L’avada kedavra che Voldemort scaglia contro Harry ha diversi significati per i diversi personaggi. Per Voldemort è un nuovo assassinio e un nuovo delitto. Per Harry è il sacrificio della vita, sacrificio che non consiste nell’uccidersi, ma nel lasciarsi uccidere per salvare i suoi amici. Mi sembra molto notevole che entrambe le azioni restino tali anche se di fatto Harry non muore. L'atto di Voldemort resta un atto di odio e quello di Harry un atto di amore.

Eravamo già convinti che sarebbe stato l’amore fino al sacrificio della vita a salvare Harry. Pensavo che sarebbe stato il sacrificio della vita già consumato da Silente a salvare Harry. Invece è il sacrificio dello stesso Harry a salvarlo.

Avevamo potuto prevedere bene che, fino alla fine, Harry non avrebbe scagliato l’avada kedavra. Come avrebbe potuto farlo senza odiare? E come avrebbe potuto la saga concludersi con Harry che compie un atto con la forza dell’odio?

Rimaneva una sola possibilità: che Voldemort fosse ucciso dal suo stesso atto di odio, che gli si sarebbe ritorto contro. Proprio questo succede alla fine: l’avada kedavra che ha scagliato contro Harry gli rimbalza addosso e lo uccide. E noi possiamo sentirci sollevati dalla fine della minaccia dell’Oscuro Signore, e allo stesso tempo possiamo rallegrarci perché neppure allora Harry è diventato un assassino.

lunedì 23 giugno 2008

Calendario

Cari amici,

sarò fuori fino al 17 luglio. Al mio ritorno, avrò finalmente tempo per concludere la discussione, nelle ultime due settimane di luglio. Nel frattempo attiverò la moderazione dei commenti, cosicché non compariranno subito, come invece era finora.

A presto!

mercoledì 23 aprile 2008

dov'è finito Palantir

Cari amici,

da qualche mese sto lavorando a un libro che mi assorbe tutto il tempo che avevo a disposizione. Purtroppo, come avete visto, non sono in grado di proseguire, per il momento. Mi dispiace di non godere della vostra conversazione. Leggo comunque i vostri messaggi.

Appena avrò finito il libro, vi farò sapere.

mercoledì 16 gennaio 2008

una creatura ributtante

Ricominciamo allora da un domanda di gio: che cos'è quella creatura che geme impotente nel capitolo King's Cross?
Tutti sappiamo che è Voldemort, cosicché la domanda si potrebbe riformulare così: che ci fa lì Voldemort, e perché presenta tale aspetto?
Forse è più facile dire perché appare in quella forma. Si tratta della forma quasi fetale che aveva all'inizio del Calice di Fuoco, quando doveva contare in tutto e per tutto sull'aiuto di Codaliscia. E di nuovo compariva nella stessa guisa nelle scene finali del Calice di Fuoco, quando Codaliscia compie l'incantesimo che restituisce a Voldemort un corpo, quel corpo che poi l'accompagnerà fino alla morte.
Si tratta quindi dell'unica forma consentita al frammento d'anima che era rimasto in Voldemort dopo la creazione delle horcrux. Una forma che non avrebbe la forza di sopravvivere, se non perché sostenuta dalle horcrux allora esistenti.
Nagini, l'ultima horcrux, è ancora viva. Ma come mai Voldemort si trova a King's Cross con Harry, se non è ancora morto?

domenica 6 gennaio 2008

i lettori italiani sono pronti? ultimo avviso

In risposta alle ultime domande: visto che molti lettori attendevano l'uscita in italiano, ho pensato di aspettarla anch'io. Trovavo un po' fastidioso dovere stare sempre attento ad aggiungere l'avviso di "spoiler" per non tradire chi non aveva letto The Deathly Hallows in inglese.

Allora, da martedì riprendo le pubblicazioni, dando per scontato che il lettore abbia già letto il 7° libro.

Buon anno a tutti!