domenica 20 luglio 2008

rieccoci qui

Interrompo l’attesa di nuovi messaggi. Mi astengo dal dare gli estremi del libro che mi ha impegnato a fondo per diversi mesi e che dovrebbe uscire in ottobre, perché per farlo dovrei svelare la mia identità, e tenerla nascosta era parte del gioco. Vediamo di riannodare le fila della discussione.

Ora che la saga è conclusa, si possono esprimere valutazioni complessive sui sette libri di Harry Potter, senza temere che vengano smentite dal volume successivo.

La nostra analisi, volta com'era a indovinare le conseguenze di quanto era già stato raccontato, si è incentrata sulla trama.

Lo snodo più difficile da prevedere era quello concernente la morte di Harry. In qualche modo, bisognava che morisse e che non morisse: che morisse per distruggere la horcrux che racchiudeva nella cicatrice, e che non morisse per potere uccidere Voldemort.

Non ho potuto indovinare entrambe le cose. Fra le due avevo escluso la prima, in quanto preferivo la seconda: mi sembrava necessario che fosse Harry a uccidere Voldemort.

Ora possiamo dire che la Rowling si “inventa” una morte-non-morte. Harry sperimenta cioè il morire, offrendosi inerme all'avada kedavra. Ma non può morire davvero, grazie alla protezione che il sacrificio di Lily gli offre ancora. Devo dire che non pensavo che la stessa risorsa, già usata ampiamente nel primo volume, potesse essere usata ancora nel settimo.

Il bello è che così viene sottolineata l'importanza del significato che diamo alle azioni. L’avada kedavra che Voldemort scaglia contro Harry ha diversi significati per i diversi personaggi. Per Voldemort è un nuovo assassinio e un nuovo delitto. Per Harry è il sacrificio della vita, sacrificio che non consiste nell’uccidersi, ma nel lasciarsi uccidere per salvare i suoi amici. Mi sembra molto notevole che entrambe le azioni restino tali anche se di fatto Harry non muore. L'atto di Voldemort resta un atto di odio e quello di Harry un atto di amore.

Eravamo già convinti che sarebbe stato l’amore fino al sacrificio della vita a salvare Harry. Pensavo che sarebbe stato il sacrificio della vita già consumato da Silente a salvare Harry. Invece è il sacrificio dello stesso Harry a salvarlo.

Avevamo potuto prevedere bene che, fino alla fine, Harry non avrebbe scagliato l’avada kedavra. Come avrebbe potuto farlo senza odiare? E come avrebbe potuto la saga concludersi con Harry che compie un atto con la forza dell’odio?

Rimaneva una sola possibilità: che Voldemort fosse ucciso dal suo stesso atto di odio, che gli si sarebbe ritorto contro. Proprio questo succede alla fine: l’avada kedavra che ha scagliato contro Harry gli rimbalza addosso e lo uccide. E noi possiamo sentirci sollevati dalla fine della minaccia dell’Oscuro Signore, e allo stesso tempo possiamo rallegrarci perché neppure allora Harry è diventato un assassino.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Credo che sia proprio la fine di Harry Potter che ci dimostra la genialità della Rowling. La morte di Voldemort è causata dal suo stesso odio che gli si ritorce contro, così come il sacrificio di Harry lo salva dall' avada kedavra.
In questo modo, come ha detto Palantir, nessuno diventa un assasino...se non lo stesso Voldemort, che io definirei come un assasino di se stesso. Per dirla in parole povere: si raccoglie quel che si semina.